Il mondo dei credenti e anche dei non credenti aspettava ansiosamente il 27 aprile 2014, Domenica della Misericordia. Piazza S. Pietro e altre parti della storica città di Roma erano affollate di pellegrini provenienti da ogni angolo della terra, per partecipare alla gioia della canonizzazione di uno dei grandi santi del nostro tempo, alla cui morte i giovani hanno gridato ad una voce: “Santo subito!”.
Il grido elevato dai quattro angoli della terra giunse al cielo, e il Signore concesse per sua intercessione i miracoli richiesti per la beatificazione, il 1 maggio 2011, e per la canonizzazione, il 27 aprile 2014. Si è così unito alla schiera dei beati in cielo, compresa santa Teresa di Calcutta, la madre dei poveri, proclamata beata dallo stesso san Giovanni Paolo II nel 25° anniversario del suo pontificato e canonizzata da Papa Francesco il 4 settembre 2016.
Santa Teresa di Calcutta e san Giovanni Paolo II: questi due grandi santi del nostro tempo hanno lasciato in eredità una fede profonda e l’indimenticabile esempio di un grande e invincibile amore per Dio. Qual era il segreto della loro vita? Chi li ispirò e diede loro forza e coraggio di compiere tutto ciò che hanno compiuto?
Il loro ricordo è ancora vivo, perché molti di noi hanno avuto l’inestimabile privilegio di camminare e di operare con entrambi o almeno con uno di loro. Entrambi hanno attinto dal loro incontro con Gesù eucaristico la forza di rinnovare la loro capacità di amare il prossimo, in particolare i poveri, gli ultimi e i minimi.
San Giovanni Paolo II e santa Teresa di Calcutta erano fermamente convinti che la loro vita si fondava su Gesù eucaristico. Gesù eucaristico e la Beata Vergine Maria a poco a poco si impossessarono di loro così da diventare “potenti magneti” che attiravano anime a Dio e Dio alle anime. Entrambi si segnalarono per la loro devozione alla Eucaristia; entrambi amarono Gesù nell’Eucaristia e lo amarono e servirono nel prossimo, in particolare nei più poveri. “E come potrebbe essere diversamente, dal momento che il Cristo raggiunto nella contemplazione è lo stesso che vive e soffre nei poveri?” (Vita Consecrata, 82).
Nelle Costituzioni dei Missionari della Carità Contemplativi leggiamo:
“Siamo chiamati ad essere missionari contemplativi e contemplativi missionari per ventiquattro ore al giorno nel cuore del mondo. Dalla presenza di Gesù nel Santissimo Sacramento andiamo alla presenza di Gesù nei più poveri dei poveri e viceversa…
La persona di Gesù che contempliamo, ascoltiamo e adoriamo nel Pane di vita è la stessa persona di Gesù che serviamo con tutto il cuore nelle sembianze dei minimi, degli ultimi, dei perduti, dei soli, degli anziani, degli abbandonati, dei malati di Aids… Gesù è presente in ognuno di essi, perché egli ha detto: ‘Tutto quello che avete fatto ad uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a Me’ (Mt 25,31-46)”.
Nel lontano gennaio 1948 santa Teresa di Calcutta scriveva all’arcivescovo di Calcutta:
“L’opera che dovremo compiere sarà impossibile senza la Sua (di Gesù) continua grazia che irradia dal tabernacolo. Lui si occuperà di tutto; a noi non resta che seguirlo” (Convento delle Suore di Loreto, Calcutta, 28 gennaio 1948).
Non possiamo, perciò, esistere e operare con i poveri senza questa duplice presenza di Gesù. Queste due presenze di Gesù sono inseparabili, come le ali di un a uccello. Sappiamo bene che l’uccello non può volare una sola ala. Quanto più amiamo Gesù nel Pane di vita, lo riceviamo nella santa Comunione e lo adoriamo con fervore, tanto più lo amiamo e lo serviamo nei più poveri tra i poveri. E’ impossibile amare veramente Gesù nell’Eucaristia e non amare il prossimo, facendo il possibile per aiutare i bisognosi.
Le comunità cristiane devono essere comunità eucaristiche, nel senso che Gesù eucaristico deve essere il centro della loro vita comunitaria e della loro pastorale.
San’Alberto Hurtado di Santiago, in Cile, uno dei santi del nostro tempo, fu canonizzato da Papa Benedetto XVI il 23 ottobre 2005, durante il sinodo dei vescovi sull’Eucaristia. Il suo motto era: “La mia Messa è la mia vita e la mia vita è una messa prolungata!” Nell’Eucaristia Gesù si dona a noi completamente.
Sant’Agostino scrive: “Sebbene Dio sia onnipotente, non può dare di più; sebbene sapientissimo non sa come dare di più; sebbene ricchissimo non ha più nulla da dare”.
Spesso sentiamo un’apparente tensione fra la vita attiva e quella contemplativa. San Giovanni Paolo II, nella esortazione apostolica “Redemptoris custos”, scrive: “L’apparente tensione tra la vita attiva e quella contemplativa trova in Giuseppe un ideale superamento, possibile a chi possiede la perfezione della carità” (27). La santa Eucaristia mantiene viva e attiva in noi la virtù della carità.
Nella prima Regola delle Suore Missionarie della Carità del 1947, santa Teresa M.C. scriveva:
“Le sorelle devono usare ogni mezzo per imparare e crescere in quel tenero amore per Gesù nel Santissimo Sacramento” (Regola 34).
Santa Teresa M.C., ispirata dalla Spirito Santo, usa qui due assoluti: “devono” e “ogni”. Si deve, in altre parole, come credo abbia fatto lei stessa per prima, usare ogni mezzo per “imparare e crescere” in quel tenero amore per Gesù eucaristico per poi crescere e maturare anche in quel tenero amore per Gesù nelle sembianze sofferenti dei più poveri.
Fin dall’inizio della sua vocazione come Missionaria della Carità, la nostra Fondatrice era consapevole e convinta che, senza uno speciale e tenero amore per Gesù nell’Eucaristia, lei, le sorelle e i Fratelli non sarebbero riusciti ad amare e a servire Gesù nei poveri. Infatti, nella lettera all’arcivescovo di Calcutta, lei scrive:
“Una cosa chiedo a lei, Eccellenza: di darci tutto l’aiuto spirituale di cui abbiamo bisogno. Se abbiamo Nostro Signore in mezzo a noi, con la Messa e la Santa Comunione quotidiana, non temo nulla, né per le sorelle, né per me. Lui si prenderà cura di noi. Ma senza di Lui non posso stare: sono impotente” (Festa del Corpus Domini 1947).
Questa fu la vita di santa Teresa di Calcutta e la sua opera fu una continuazione e un prolungamento non solo dell’opera di Gesù, ma Gesù stesso operò con lei. Le sorelle e i Fratelli devono avere questa convinzione. Solo allora la loro vita produrrà sempre più frutti.
L’intima unione di santa Teresa di Calcutta con Gesù iniziò quando lei era molto giovane e divenne più forte e profonda nel corso degli anni. Nel testo originale della sua lettera all’arcivescovo di Calcutta leggiamo:
“Fin dall’età di cinque anni e mezzo, quando lo ricevetti per la prima volta nella Santa Comunione, l’amore per le anime mi è entrato dentro. E’ cresciuto nel corso degli anni, finché non sono venuta in India con la speranza di salvare molte anime. In questi diciotto anni ho cercato di vivere secondo i Suoi desideri. Ardo dello struggente desiderio di amarLo come non è mai stato amato prima” (25 gennaio 1947).
Questo desiderio ardente per la salvezza e la santificazione delle anime, specialmente di quelle dei più poveri tra i poveri, continuò a crescere nel suo cuore e nella sua anima. Ogni Messa e santa Comunione erano per lei come mettere legna sul fuoco. Lei scrive:
“Questo desiderio di saziare la sete di Nostro Signore delle anime dei poveri, di pure vittime del Suo amore continua a crescere a ogni Messa e Santa Comunione. Tutte le mie preghiere, in una parola tutta la giornata, sono pervase di questo desiderio” (3 dicembre 1947).
Ogni volta che si chiedeva a santa Teresa M.C. quale fosse il segreto della sua forza e vitalità, specialmente quando era anziana, lei soleva additare il tabernacolo. Persino quando era ricoverata in ospedale, chiedeva che le si portasse il tabernacolo nella stanza, voleva che un sacerdote celebrasse ogni giorno la Messa e le amministrasse la santa Comunione, e desiderava anche stare un’ora in adorazione davanti a Gesù Sacramentato.
A Calcutta, quando si trovava all’ospedale “Woodlands Nursing Home”, un medico indù chiese alle sorelle di trasferire “quella scatola” dalla Casa Madre all’ospedale. Il medico non sapeva come chiamare quella “scatola” che noi chiamiamo tabernacolo, che significa la presenza di Dio in mezzo a noi, ma spiegò che santa Teresa M.C. si sarebbe sentita meglio e più tranquilla se le sorelle avessero portato la Presenza di Gesù nell’Eucaristia. Così fu fatto e lei si mostrò eccezionalmente in pace e serena.
La vita di santa Teresa M.C. fu una vita eucaristica. In due importanti lettere lei scrisse:
“Un giorno, dopo la Santa Comunione, ho udito la medesima voce molto distintamente…” Poi enumera il genere di membri che doveva avere e le loro qualità. Gesù le dettò per così dire tutto: chiarì in termini semplici e chiari in che cosa consistesse la vocazione di Missionaria della Carità, dicendo: “La tua vocazione è di amare, soffrire e salvare anime”; il genere di abito che avrebbe dovuto indossare, il genere di persone che avrebbe servito, il nome della Congregazione che doveva fondare, ecc.
Anche le locuzioni e le visioni si svolgono nello stesso contesto:
“In tutte e mie preghiere e Sante Comunioni Lui chiede continuamente: Rifiuterai? Quando si è trattato della tua anima non ho pensato a Me stesso, ma ho dato Me stesso liberamente per te sulla Croce; e ora cosa farai tu! Rifiuterai?” (Festa di San Francesco Saverio 1946)
Nel suo messaggio ai giovani del mondo san Giovanni Paolo II scrisse:
“Cari amici, se imparerete a scoprire Gesù nell’Eucaristia, lo saprete scoprire anche nei vostri fratelli e sorelle, in particolare nei più poveri. L’Eucaristia ricevuta con amore e adorata con fervore diventa scuola di libertà e di carità per realizzare il comandamento dell’amore…Questa scuola eucaristica di libertà e di carità insegna a superare le emozioni superficiali per radicarsi fermamente in ciò che è vero e buono; libera dal ripiegamento su di sé per disporre ad aprirsi agli altri; insegna a passare da un amore affettivo ad un amore effettivo. Perché amare non è soltanto un sentimento; è un atto di volontà che consiste nel preferire in maniera costante, al proprio, il bene altrui…E’ con tale libertà interiore e bruciante carità che Gesù ci educa ad incontrarlo negli altri, in primo luogo nel volto sfigurato del povero. La Beata Teresa di Calcutta amava distribuire il suo «biglietto da visita» sul quale stava scritto: ‘Frutto del silenzio è la preghiera, frutto della preghiera è la fede, frutto della fede è l’amore, frutto dell’amore il servizio, frutto del servizio la pace’. Ecco il cammino dell’incontro con Gesù…Il mondo ha bisogno urgente del grande segno della carità fraterna! Non basta, infatti, parlare di Gesù; bisogna anche farlo in qualche modo vedere con la testimonianza eloquente della propria vita” (Messaggio per la 19a Giornata Mondiale della Gioventù, 22 febbraio 2004).
L’amore per Gesù nel Pane di vita e l’amore per i poveri sono inseparabili, sono un’unica realtà. Per poter dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, Gesù ci nutre con il suo Corpo e ci disseta con la sua parola e il suo Sangue.
Nella prima lettera enciclica, “Deus Caritas Est”, Papa Benedetto XVI scrive:
“Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama. I santi – pensiamo ad esempio alla Beata Teresa di Calcutta – hanno attinto la loro capacità di amare il prossimo, in modo sempre nuovo, dal loro incontro con il Signore eucaristico e, reciprocamente, questo incontro ha acquisito il suo realismo e la sua profondità proprio nel loro servizio agli altri. Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento” (18).
Questo duplice amore si può paragonare all’acqua che entra in un serbatoio attraverso una conduttura e ne esce attraverso un’altra conduttura per essere distribuita a chi ne ha bisogno. Sappiamo bene che il serbatoio non produce acqua, né beve né assorbe l’acqua. Lo scopo del serbatoio è di raccogliere acqua attraverso una conduttura e di distribuirla attraverso un’altra. C’è un detto in latino: “Memo dat quod non habet”, “Nessuno può dare ciò che non possiede”. Diamo e condividiamo ciò che riceviamo da Dio nella preghiera. Ecco perché Gesù disse a santa Teresa M.C. che lei, le sorelle e i Fratelli dovevano essere così uniti a Lui da irradiare il suo amore sulle anime. Più riceviamo più condividiamo con le persone bisognose, e più condividiamo più riceviamo. L’amore cresce con l’amore.
La sorgente di questo invincibile amore è la Santa Trinità. Ci colleghiamo alla sorgente dell’amore attraverso la preghiera, specialmente attraverso i sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia. In questo modo viviamo sempre nell’amore per amore. La Santa Eucaristia nutre, rafforza, tiene vivo ed attivo il nostro amore, e così il nostro amore diventa sempre più effettivo.
San Giovanni Paolo II scrive:
“Annunziare la morte del Signore «finché egli venga» (1Cor 11,26) comporta, per quanti partecipano all’Eucaristia, l’impegno di trasformare la vita, perché essa diventi, in certo modo, tutta eucaristica.
“…Significativamente, il Vangelo di Giovanni, nel racconto dell’Ultima Cena, propone, illustrandone così il significato profondo, il racconto della «Lavanda dei piedi», in cui Gesù si fa maestro di comunione e di servizio” (Ecclesia de Eucharistia n. 20).
San Giovanni Crisostomo scrive:
“Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: «Questo è il mio corpo», confermando il fatto con la parola, ha detto anche: Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare e: Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli tra questi, non l’avete fatto neppure a me….Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d’oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l’affamato, e solo in seguito orna l’altare con quello che rimane” (Omelie sul Vangelo di Matteo, Om. 50,3-4).
La nostra Madre Chiesa e tutti i suoi membri vivono dell’Eucaristia, perché “…nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa” (Ecclesia de Eucharistia, 1). Si può affermare che la santa Eucaristia costruisce la Chiesa e la fa crescere. La celebrazione dell’Eucaristia è al centro della crescita della Chiesa:
“Memore del comando del Signore « fate questo in memoria di me » (Lc 22,19), l’autorità procurerà che il santo mistero del Corpo e del Sangue di Cristo sia celebrato e venerato come “fonte e culmine” della comunione con Dio e tra i fratelli e le sorelle. Celebrando e adorando il dono dell’Eucaristia in fedele obbedienza al Signore, la comunità religiosa vi attinge ispirazione e forza per la sua dedizione totale a Dio, per essere segno del suo amore gratuito verso l’umanità e rimando efficace ai beni futuri (Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, 13b).
Le Costituzioni dei Missionari della Carità Contemplativi dicono:
“Non dovremmo mai dimenticare che il cuore della celebrazione Eucaristica è il dono di Gesù di se stesso nel Pane di vita e nelle sembianze di tutti i più deboli, gli ammalati, i carcerati e le persone sole. Il sacrificio di noi stessi con Gesù nell’Eucaristia per amore degli altri, i nostri Fratelli e i poveri, è l’unico fondamento di ogni comunità. Ci uniamo con il Signore in sacrificio per la vita del mondo.
Ogni giorno ci nutriamo al banchetto del Signore, della sua Parola e del suo Pane. Perciò saremo sempre pronti a spezzare il “Pane della vita” per i poveri e gli affamati in qualsiasi parte del mondo. Non teniamo nulla per noi, ma condividiamo con i poveri, con gioia e felicità di cuore, tutto ciò che abbiamo ricevuto dalla tenerezza di Dio.”
Tutta la nostra vita deve essere adorazione in spirito e verità. “Gesù ci aspetta in questo sacramento d’amore, siamo generosi con il nostro tempo nell’andare ad incontrarlo in adorazione e contemplazione, pieni di fede e pronti a riparare le gravi colpe e i crimini commessi nel mondo. La nostra adorazione possa non finire mai!” (San Giovanni Paolo II, La Santa Eucaristia, 24 febbraio 1980).
Termino queste riflessioni ancora una volta con le parole di santa Teresa M.C:
“L’attrazione per il Santissimo Sacramento, a volte, è grandissima. Anelo a [ricevere] la santa Comunione. Notte dopo notte, il sonno scompare e trascorro quelle ore in ardente desiderio della Sua venuta. Tutto ciò ha avuto inizio ad Asansol in febbraio, e adesso, ogni notte per un’ora o due (ho notato che accade dalle 23 all’1), lo stesso struggente desiderio fa irruzione nel sonno” (Santa Teresa di Calcutta a P. Van Exem, 8 agosto 1947).
Questa fu la vita di santa Teresa di Calcutta e la sua esperienza quotidiana. Sia anche la nostra vita e la nostra esperienza. Desideriamo anche noi ardentemente la sua venuta nel Pane di vita per riceverlo con amore nella santa Comunione, adorarlo con grande fervore ed entusiasmo nell’Eucaristia e servirlo gli uni negli altri, specialmente nei più poveri.
La nostra adorazione non finisca mai e il nostro amore per i poveri non venga mai meno!
P.Sebastian Vazhakala M.C.