“La Chiesa, la sposa di Cristo, la Chiesa nostra Madre. Noi diamo gloria a Dio attraverso la Chiesa e nella Chiesa, con la fedeltà al dono che la Chiesa ci ha affidato: il dono di averci accettato, di aver accettato le nostre mani per servire e il nostro cuore per amare.
Dobbiamo sforzarci di non arrecare sofferenze alla Chiesa con i nostri peccati e i nostri egoismi, perché altrimenti offenderemo lo stesso Corpo di Cristo che si identifica con la Chiesa, formata dall’insieme di tutti noi, suoi fedeli. Veramente accoglieremo il Papa come nostro Padre se ciascuno di noi si sforzerà di rimanere fedele alla vocazione con la quale è chiamato a vivere la propria fede. La forza della testimonianza con cui il Santo Padre cerca di spronarci a vivere coerentemente ci aiuti ad amare e a servire la Chiesa con cuore sincero” (S. Teresa di Calcutta).
- Come si sente quando legge le parole di Santa Madre Teresa M.C.?
Mi sento a mio agio, perché ho l’opportunità di rivivere tanti gioiosi eventi del passato e di sentire sempre più vicina la maternità che la Madre ha avuto per noi. Dalle sue parole trapela quella convinzione che viene dritta dal cuore e dall’esperienza della vita. Quando S. Teresa di Calcutta incontrava una persona bisognosa non si domandava che cosa potevano o non potevano fare gli altri, ma si impegnava personalmente, facendo semplicemente ciò che poteva, e quando non era in grado di intervenire, cercava qualcuno che poteva arrivare dove non le era possibile arrivare di persona. Voleva che nessuno si sentisse indesiderato, non amato o solo; si prendeva immediatamente cura di chiunque fosse nel bisogno, senza rimandare al domani o pensare al passato.
- Lei è stato il Co-fondatore con Santa Teresa di Calcutta della Congregazione dei Missionari della Carità Contemplativi. Può dirci qualcosa della Congregazione?
Gesù, il nostro Divino Maestro, ha voluto che il ramo dei Missionari della Carità Contemplativi lo amasse e lo servisse nelle sembianze dei più poveri tra i poveri, nella lode gioiosa, in ringraziamento e in riparazione, attraverso la preghiera, la penitenza e le opere di misericordia corporali e spirituali, così da poter cercare di estinguere la sete di Gesù sulla croce di amore e di anime. Poiché “il Padre nostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo dì questi piccoli” (Mt 18:14), Gesù ci manda in cerca delle pecorelle smarrite per portarle al pentimento. Gesù desidera che andiamo ad istruire gli ignoranti e a consigliare i dubbiosi. Tante sono le persone afflitte e da consolare e che attendono il nostro aiuto. Ci sorprende che sopportare pazientemente le persone moleste e perdonare le offese siano anch’esse opere di misericordia, come il pregare per i vivi e per i morti.
Alla sera della vita, quando appariremo davanti a Dio, saremo giudicati proprio sulle opere di misericordia; ed ascolteremo Gesù che ci dirà:
“Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi…In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25:31-46).
Ogni qualvolta che daremo da mangiare agli affamati, vestiremo gli ignudi, ospiteremo i senza tetto, cureremo gli ammalati o andremo a trovare i carcerati, lo faremo sempre a Gesù. Quel Gesù che contempliamo, amiamo e adoriamo nel Pane di vita è lo stesso Gesù che dobbiamo amare e servire, con uguale rispetto e devozione, nelle sembianze dei più poveri tra i poveri.
“Come potrebbe essere altrimenti, visto che il Cristo che incontriamo nella contemplazione è lo stesso Gesù che vive e soffre nei poveri?” (Vita Consecrata, 82).
Le nostre Costituzioni ci insegnano che “dalla presenza di Gesù nel Santissimo Sacramento andiamo alla presenza di Gesù nei più poveri tra i poveri e viceversa” (Regola, 5).
La parola “contemplazione” assume diversi significati; e ce ne sono altri, diversi da quello tradizionale, che ci aiutano ad individuare il modo di vivere la nostra vocazione alla “contemplazione”. Se la preghiera è il mezzo per rimanere in contatto con Dio, ogni azione, se compiuta con amore, diventa anch’essa uno strumento per raggiungere un’intima unione con Dio. C’è la pura contemplazione mentale, così come c’è una contemplazione attiva. Anche quest’ultima è vera contemplazione. Un vero contemplativo è sempre un vero missionario. S. Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni insieme a San Francesco Saverio, era una contemplativa missionaria, San Francesco Saverio era un missionario contemplativo. Le modalità della contemplazione possono essere varie, ma gli elementi essenziali rimangono in ogni modo sempre gli stessi.
I contemplativi non devono limitarsi a conoscere le sole tecniche di contemplazione, ma devono essere in grado di saper contemplare in ogni situazione, anche nelle così dette realtà profane e mondane. Diceva S. Teresa di Gesù Bambino:
“Accetto tutte le distrazioni per amore di Dio, persino le idee più strane che mi passano per la mente”.
Un vero contemplativo dovrebbe saper trasformare, con serenità e umiltà, tutto ciò che è profano in sacro; non solo con la purificazione, ma con il profumo delle virtù della fede, della speranza e della carità, ottenendo così una grande gioia e pace interiore.
La nostra Chiesa cattolica ed apostolica vive con la preghiera, la penitenza e le opere di misericordia, che insieme ne formano la struttura. Se la preghiera è il respiro della Chiesa, la penitenza ne è lo scheletro e le opere di misericordia ne sono la carne, tutte in armonioso equilibrio.
”Perciò preghiera, digiuno e misericordia siano per noi un’unica forza mediatrice presso Dio, siano per noi un’unica difesa, un’unica preghiera sotto tre aspetti” (San Pietro Crisologo, Discorso 43, Ufficio delle Letture, terza settimana di quaresima, martedì).
La nostra missione è dunque quella di fare cose ordinarie con amore straordinario. Ci sono molte persone che si prodigano facendo grandi cose, ma poche scelgono di fare piccole cose con grande amore, col sorriso, nella pace e nella gioia; è un impegno che può costarci molto, ma per questo sarà più grande anche la gioia, perché aiutando chi è nel bisogno doniamo l’amore di Dio.
Ciò che facciamo è sempre opera di Dio. S. Teresa di Calcutta fu sempre convinta che le nostre opere fossero l’opera di Dio; e perciò Lui stesso, l’Onnipotente, se ne sarebbe preso cura. Siamo strumenti di Dio, come piccole matite nelle sue mani con le quali scrive il suo messaggio d’amore al mondo: siamo le lettere d’amore di Dio.
- E’ difficile essere seguace di Santa Madre Teresa M.C. nel mondo odierno? Santa Madre Teresa M.C. fu una grande donna, una donna molto forte: non tutti possono essere suoi seguaci.
Noi non siamo seguaci di Madre Teresa di Calcutta, ma di Gesù. S. Teresa di Calcutta seguì Gesù da vicino, lo amò con tutto il cuore, cercò di conoscerlo sempre più profondamente, di amarlo sempre più ardentemente e di servirlo con sempre maggior amore nei più poveri tra i poveri. A proposito di quest’ultima opera S. Teresa M.C. soleva dire: dovete condividere con i poveri fino a soffrirne. Amare veramente può far soffrire, perché a volte, per aiutare una persona, dobbiamo fare delle cose diverse da quelle che vorremmo o che ci piacerebbe fare.
- Teresa di Calcutta era animata dalla convinzione profonda e dal grande desiderio di amare ed aiutare il prossimo, ed era quindi molto esigente nei confronti delle persone che condividevano la sua missione. Era una donna forte ed al contempo piena d’amore; la sua energia si disperdeva ed affondava in un immenso amore per i più poveri tra i poveri.
L’incontrai per la prima volta nel 1966, allora studiavo filosofia in seminario. Dopo di che, attratto da ciò che faceva e dalla vita che conduceva, che rispecchiavano le parole del Vangelo:
“Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito “
e ancora: ” ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”, oppure: “Persino un bicchiere di acqua fredda, l’avete fatto a me”, decisi di andare a Calcutta per incontrarla di nuovo.
La sua vita era molto semplice: non si limitava a lavorare per i poveri, per poi, dopo aver terminato la sua missione, tornare ad una vita confortevole, ma essa stessa cercava di vivere come i poveri. Cercava di identificarsi con quei poveri che serviva.
Per parte nostra, anche noi in cammino alla sua sequela, cerchiamo di vivere una vita di stretta povertà, anche se vivendo in comunità è più difficile rimanere fedeli ai disegni dello spirito. Dobbiamo essere interiormente convinti dell’azione dello spirito, di ciò che ci è suggerito dalla contemplazione e dalla preghiera; per questo sostiamo quattro o cinque ore in adorazione davanti al Santissimo Sacramento: Lo amiamo e adoriamo nel Pane di vita per poi servirlo nei più poveri tra i poveri. Il nostro quarto voto di servizio gratuito e di tutto cuore ci aiuta a mantenere vivo lo spirito. Accanto alle comuni ore di condivisione, revisione e discussione che ci aiutano a ritornare sulla giusta via, abbiamo un tempo in cui ciascuno cammina individualmente verso Gesù, come e quanto può. Vi chiediamo di pregare per noi, per non rovinare l’opera di Dio.